In vetta al Corno Grande per la cresta Ovest

Dal tetto degli Appennini panorami fin dove l'occhio poteva arrivare

Una serie di impegni e doveri familiari nonché una estate torrida prima, incerta e piena di instabilità poi, hanno tenuto “Aria Sottile” lontano dai sentieri montani. Il desiderio di salire lassù mi spingeva a programmare scalate mentre la voglia di vivere nuove sperienze insieme con i miei amici di avventura mi bloccava nel programmare nuove salite. Dovevo pensare ad una ripetizione, ad una vetta già percorsa ma da dover rivivere per qualche sorta di desiderio incompiuto. Il solo Luca, da poco del gruppo ma assiduo nel non mancare una occasione, si proponeva nel seguirmi ed è stata la sua presenza a farmi pensare alla regina delle montagne. Quale occasione migliore accompagnarlo nella conoscenza di sua meastà il Gran Sasso? L’idea prendeva immediatamente corpo. Mi incuriosiva vivere il suo grande entusiasmo verso la montagna così ampiamente dimostrato sui gruppi dei Reatini, del Marsicanmo e del Velino al cospetto della regina di tutte le montagne dell’Appennino Centrale. Sabato 19 Settembre, dopo un paio di settimane di continue perturbazioni, offriva una finestra breve ma abbastanza sicura. L’occasione era ghiotta e irripetibile; la convocazione alle 4 e 30 all’Eur è stata ampiamente anticipata da entrambi a dimostrazione dell’entusiasmo reciproco. Un viaggio piacevole nello scampolo di notte stellata residua ci portava già alle 6 e 10 a Campo Imperatore e solo 10 minuti dopo a partire di buona lena verso la nostra meta che imperiosa troneggiava verso l’ancora buio cielo. La temperatura dell’aria era fresca ma piacevole e metteva voglia di cominciare l’avventura. Per Luca era tutto nuovo e meravigliosamente tutto così diverso dalle montagne finora vissute. Superato l’Osservatorio ci siamo buttati nel sentiero che tagliando a mezza costa la cresta del Portella ci faceva guadagnare dolcemente la Sella del Monte Aquila. Non ancora in cresta, verso il Brancastello, proprio in corrispondenza del Vado di Pezza , proprio al centro di quella forcella abbiamo assistito al sempre magico momento del sorgere del sole; un globo rosso infuocato vestiva di tonalità rosee tutto il mondo circostante, ne svelava i segreti tenuti nascosti dalle tenebre e dava alla parete del Corno Grande quel tocco incipriato che lo faceva imparentare alle più famose cime dolomitiche. Intanto il cielo, sfilaccato da innoque nubi dai colori più accattivanti si stava impossessando di quell’azzurro consueto e sfavillante che tanto avevo sperato e che ci avrebbe accompagnato per quasi tutta la giornata. Un momento come quello, come si dice, valeva già il prezzo dell’alzataccia, ma in cuo mio sapevo, e soprattutto per Luca, che il pezzo forte della giornata era tutto ancora davanti. Ancora pochi passi e lascio sbucare Luca in cresta. Lo osservo mentre gli si spalanca davanti l’immensità di Campo Pericoli con i colossi del Pizzo Cefalone, dell’Intermesoli e del Corno Grande; è come un bambino quando per la prima volta gli si para davanti Babbo Natale con il sacco dei doni. Sussurra appena il suo stupore, lo stesso che dopo tante visite mi investe nuovamente quando sbuco in cresta anche io. I colori sono tenui, impercettibili; l’aria è ferma e pulita, le ombre lunghe amplificano i contorni; lo spigolo del Cefalone si arrampica nel cielo mentre le moli dell’Intermesoli e del Corno Grande ti investono della loro smisurata enormità. E’ un quadro che nessun pittore avrebbe potuto colorare meglio. Prendiamo il sentiero di cersta e ben presto volgiamo a sinistra verso l’evidente Sella del Brecciao. Sopra di noi spavalda la linea naturale della “direttissima” che sale verticale verso la cima del Corno Grande. La descrivo a Luca che in un primo momento la giudica impercorribile e già un attimo dopo rende pariglia alla stessa spavalderia del tracciato proponedo di salirlo. Si arrende facilmente ma con un po’ di rammarico al mio rifiuto. Lungo il sentiero all’interno di Campo Pericoli consumiamo con entusiasmo tutte le nostre sensazioni sul mondo che ci contorna e alle 8 meno 10 siamo in groppa alla Sella del Brecciao, già a quota 2500, privilegiato balcone sul vallone sottostante e la cresta che dal Portella spazia fino a tutte le Malecoste. Una sosta per fare scorte di emozioni e di energia e ci mangiamo qualcosa. Un po’ di foto e riprendiamo mentre davanti a noi si spalanca di già il Corno Piccolo. La temperatura ancora fresca e il sole ancora nascosto dalla mole del Corno Grande rendono l’ascesa estremamente facile e veloce. Quando aggirando la cresta nord del Corno Grande entriamo nella Valle dei Ginepri si fa decisiva la scelta del percorso. Avevo programmato la salita per la via normale, ma il precedente rifiuto della “direttissima” mi poneva questa volta in posizione di svantaggio verso Luca. Gli dovevo l’emozione della scalata in cresta, sulla famosa cresta occidentale del Corno Grande. Era una prima anche per me, ma sapevo che non andava oltre facili passaggi di 2° grado, anche se a tratti un po’ esposti. La salita è stata entusiasmante; tra passaggi che ci portavano a contatto con la ancora fredda roccia e affacci vertiginosi verso le verticalità della valle sottostante appena percorsa salivamo rapidamente di quota. Luca era sorprendente per la facilità con cui affrontava la nuova situazione, io ero guardingo e attento ad ogni passo, lui agile e a proprio agio in ogni momento e in ogni nuova difficoltà; nemmeno i miei pedanti richiami alla sicurezza lo intimorivano; mi destava rispetto e ammirazione la sua naturale propensione alla montagna. Ogni roccia era una sorpresa, ogni appiglio una nuova situazione, ogni panorama che si spalancava una emozione gridata al cielo. Mano a mano, forse è più giusto dire piede a piede, che si saliva, si guadagnava la cresta, ora di qua, verso il fresco e ombroso est, ora di là verso il luminoso e caldo Ovest. A tenerci compagnia la mole del Corno Piccolo ad ogni passo diversa nei contorni e la vastità dei sottostanti panorami con il Portella e il Cefalone ridotti ormai nelle proporzioni dell’immensità a modeste collinette. Era tutto così perfetto che l’andatura veniva persino rallentata per godere fino in fondo del momento. L’ultimo tratto, paradossalmente, smetteva di presentare problemi alpinistici e attraverso un comodo sentiero ci portava in braccio alla croce di vetta. Nemmeno le solite nubi in risalita sul paretone della montagna turbavano la quiete della vastità. Una temperatura piacevole faceva il resto. Si dominava il mondo. E Luca era al culmine della felicità per aver salito la “montagna alta”. Una bella mezz’ora di quiete e di solitudine ci rende abitanti entusiasti della vetta più alta degli appennini. In questo Sabato siamo stati i primi visatatori di questa immensa vetta. Faccio un bel mucchio di foto per riservarmi lo studio delle vette seconadarie della montagna, come sempre lì per lì difficili da giudicare a causa dei vertiginosi strapiombi da cui sono contornate. Decidiamo di salire in perlustrazione l’anticima occidentale del Corno Grande, anonima quota a 2867 mt sulle carte. Una bandiera votiva di origini Himalayane lasciata chissà da chi è ancorata in vetta e da al luogo un che di mistico e riservato. Il resto lo fa l’affaccio di questa vetta, stupendo trampolino sul Ghiacciao del Calderone, sulla Sella dei due Corni, sul Corno Piccolo e sulla magnificenza del profilo delle vette centrali e orientali del Corno Grande che come una enorme sega appuntita si tendono a graffiare il cielo. Sono le 11 della mattina, non lascerei mai quel luogo unico, ma le previsioni in netto peggioramento che vogliono nel pomeriggio forti temporali in zona e la voglia di far toccare a Luca la vetta del Monte Aquila ci spingono a lasciare le creste. La discesa per la via normale è velocissima! Incontriamo affannati escursionisti in salita e presto aggiriamo la Sella del Brecciaio. Buttiamo lo sguardo avanti a cercare il miglior punto di salita per l’attacco all’Aquila. Lo aggrediamo per i pratoni proprio sotto la direttissima che continua ad affascinare Luca irrimediabilmente. Ormai il suo destino è segnato e quella linea verticale rimarrà nei progetti futuri nemmeno troppo lontani del nostro temerario. Superati i dossi erbosi della sella del Monte Aquila l’ultima “scalinata” sassosa ci porta al cospetto della altissima croce . Nel frattempo nere e dense nubi si ammassano sulle creste ovest, alcuni avamposti minacciosi invadono il sottostante Campo Imperatore e tentano ancora innoque risalite verso le quote superiori. Il sole rimane a dominare ancora la scena, tanto che non ci facciamo intimorire dalle nuvolacce ormai vicine e ci concediamo l’ultima sosta in vetta al Monte Aquila al cospetto col maestoso paretone che gioca a nascondersi tra le spumeggianti nuvole di risalita dalla valle teramana sottostante. Poi non c’è più nulla da fare; i segnali incombenti e gli avanzamenti dei fronti nuvolosi non ci lasciano più alternative. Mentre noi scendiamo velocemente a valle incontriamo molti escursionisti ancora in salita; con qualcuno scambiamo qualche parola e cerchiamo di indurli a ripensare l’ascesa per non incappare in pericolosi temporali. Sembra che siamo i soli a preoccuparci, d’altra parte la “direttissima” è ancora popolata da innumerevoli microscopiche formiche. Alle 13 e 15 siamo a Campo Imperatore; appena il tempo di ricomporci e cambiarci degli indumenti bagnati dalla fatica che comincia a piovere. Noi felici della giornata e di tutte le scelte fatte che ci hanno consentito una programmazione ottimale dei tempi e che ci hanno evitato una grossa annaffiata e un ancor più grosso rischio di fulmini decidiamo di festeggiare e chiudere degnamente andando a gustare i prelibati arrosticini delle “osterie” di Fonte Vetica. I nostri pensieri sono rivolti ai tanti incoscienti o sprovveduti che si stanno cimentando in mezzo al putiferio di acqua e fulmini che ha trasformato in pochi minuti il paradiso in autentico inferno